Secondo la Cassazione (ordinanza n. 19281/2019) è solamente colui che intende valersi del documento in giudizio, non anche l’autore del falso
Il fatto
La pronuncia in esame trae origine dal giudizio di accertamento della falsità del verbale di intervento, redatto a seguito di un sinistro stradale, da due agenti della polizia municipale convenuti.
Il tribunale dichiarava il difetto di legittimazione passiva dei verbalizzanti, in quanto non legittimati a contraddire nel giudizio di falso, disponendo la prosecuzione del giudizio nei confronti del Comune, chiamato in causa su istanza dei convenuti.
Successivamente, la Corte territoriale riformava detta sentenza, riconoscendo la legittimazione passiva dei verbalizzanti rispetto alla querela di falso, in applicazione del principio espresso dalla Suprema Corte nella sentenza n. 13190/2006.
Gli agenti hanno proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di due motivi.
Con la seconda censura, in particolare, i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2700, 105, 221 c.p.c., poiché la Corte di merito aveva riconosciuto la legittimazione passiva dei verbalizzanti rispetto al giudizio di falso, che invece ha come solo legittimato passivo, colui che potrebbe avvalersi del documento come mezzo di prova.
La decisione
La Suprema Corte, ritenuto fondato tale motivo, ha accolto il ricorso. In particolare, la Cassazione non ha condiviso la pronuncia dei giudici di merito, secondo i quali sarebbe possibile individuare l'incondizionato riconoscimento della legittimazione passiva, rispetto alla querela, anche in capo a chi sia indicato quale autore materiale della falsità, riconoscendo la legittimazione passiva dei verbalizzanti. Non è da condividere il principio oggetto della sentenza di legittimità n.13190/2006, cui la Corte di merito ha aderito; secondo tale indirizzo, l’efficacia erga omnes della querela non esclude che al giudizio ad essa relativo possano partecipare tutti coloro che da esso potrebbero subirne qualche effetto, non potendo negare l’interesse dei verbalizzanti a resistere alla querela di falso.
Secondo la Suprema Corte, i giudici di secondo grado hanno equivocato quanto affermato nella sopra citata sentenza, in quanto, il principio ivi menzionato, andrebbe interpretato nel senso di riconoscere la possibilità del pubblico ufficiale di essere legittimato ad intervenire in via adesiva nel giudizio di querela di falso.
Orbene, ciò è stato espresso in termini di possibilità ed in funzione di un'esigenza di tutela dei verbalizzanti, per cui, va tutt’al più considerato quale riconoscimento della possibilità che il pubblico ufficiale sia legittimato a intervenire in via adesiva nel giudizio di querela di falso, ma non è possibile ravvisare in esso il superamento del precedente orientamento, secondo il quale, il legittimato passivo rispetto alla querela di falso, va individuato rispetto al rapporto giuridico con riferimento al quale il documento spiega la sua efficacia.
Ciò ha trovato conferma anche nella giurisprudenza di legittimità formatasi successivamente alla menzionata pronuncia, con cui la Corte d'appello non ha inteso confrontarsi, facendo riferimento unicamente dell'inciso contenuto nella sentenza n. 13190/2006. Pertanto, in relazione al secondo motivo, il ricorso è stato accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte di merito, che si dovrà attenere al principio di diritto: "legittimato passivo rispetto alla querela di falso civile è solo il soggetto che del documento intende valersi in giudizio e non già l'autore del falso o chi comunque sia concorso nella falsità".